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Imprenditore fallito, pena lieve

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Pena più lieve per l’imprenditore fallito.

Scatta la bancarotta preferenziale e non fraudolenta per distrazione all’amministratore della società, poi fallita, che preleva dalle casse sociali le somme per il suo compenso senza che lo preveda lo statuto dell’ente o una delibera approvata dall’assemblea: chi accetta la carica di gestione ha diritto al compenso per l’attività svolta e l’ipotesi fraudolenta deve essere esclusa se risulta prestata un’attività effettiva nell’interesse della società e l’importo del prelievo è congruo rispetto all’impegno profuso. Così la Cassazione nella sentenza 36416/23, pubblicata il 31 agosto dalla quinta sezione penale.

Il ricorso proposto dall’ex amministratore unico della srl è accolto contro le conclusioni del sostituto procuratore generale, che chiedeva l’inammissibilità. Scatta lo stop alla condanna per bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale inflitta all’imputato per aver prelevato quasi 22 mila euro dalla società nei due anni in cui è rimasta operativa: il tutto senza essere autorizzato dallo statuto o dall’assemblea. L’imputato ribatte di aver trattenuto soltanto «1.400 euro al mese per vivere». È irrilevante, intanto, che l’amministratore sia titolare del 99 per cento delle quote (e l’1 sia della sua compagna). Per dirsi in buona fede, l’interessato non può limitarsi ad affermare di non conoscere la norma ex articolo 2389 Cc, ma deve dimostrare di aver fatto tutto quanto poteva per osservare la disposizione violata. Un’altra sua censura sul “formalismo” della condanna trova tuttavia ingresso: il diritto dell’amministratore al compenso è infatti sostanziale, mentre costituisce soltanto un dato formale l’assenza della delibera che autorizza il compenso.

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