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Crisi d’impresa, modello di risk management per leggere i dati

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Non c’è tempo da perdere per le imprese: occorre metter mano agli assetti organizzativi. L’amministratore inadempiente, infatti, oltre al danno, rischia molto: senza un adeguato assetto organizzativo, l’attività svolta dall’impresa collettiva è da considerarsi illecita al pari di una attività condotta con patrimonio netto negativo (fatto salve le esenzioni di legge), esponendo gli stessi amministratori alla responsabilità risarcitoria.

L’obbligo per le società di dotarsi di adeguati assetti organizzativi è previsto dall’art. 375 del Codice della crisi di impresa e delle insolvenze (Ccii), del quale le prime misure operative sono entrate in vigore il 16 marzo 2019.

Ma, a oggi, purtroppo, i continui rinvii e cambiamenti che hanno caratterizzato il Ccii, piuttosto che favorire l’adeguamento delle imprese ai nuovi obblighi di legge già entrati in vigore, hanno invece creato tanta confusione sia negli imprenditori che nei professionisti i quali, spesso, hanno associato l’adempimento alle disposizioni sugli istituti di allerta, più volte prorogati e modificati.

Di conseguenza, la maggior parte degli amministratori di società ha lasciato sinora inapplicata la norma sugli assetti organizzativi. Questa mal posizionata attenzione va prontamente corretta oggi più che mai, non solo per l’imminente entrata in vigore di tutto il Codice della crisi di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (15 luglio 2022: dovrebbe essere questa la data definitiva, ma il condizionale è d’obbligo visti i precedenti rinvii), ma anche e soprattutto per dotare le imprese di un modello di risk management in grado di mitigare gli effetti causati dai postumi del Covid-19 e dalla stagflazione da materie prime e risorse energetiche causata dalla guerra in Ucraina.

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