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“Genug ist genug”(basta è basta) recita uno dei tanti cartelli in Germania per la protesta in atto

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A poche centinaia di metri dalla Porta di Brandeburgo i manifestanti trovano riparo dal nevischio sotto un tendone improvvisato. Alle spalle del meccanico Heinzi c’è anche un piccolo patibolo dal quale pende un semaforo (che rappresenta la coalizione di governo tra Spd, Verdi e Liberali). Heinzi è alto quasi due metri, l’imponente barba bianca gli cade crespa sul petto. Gli chiediamo se vuole vedere il governo impiccato. Esita, prima di rispondere: “Ma perché voi giornalisti mi chiedete solo del patibolo? Non vede che questa protesta ormai riguarda tutta la società? Io sono meccanico, non sono un agricoltore. E le dico che io e la mia compagna, che guadagna il salario minimo, fatichiamo ad arrivare a fine mese”. Heinzi è di Wandlitz, un paesino a nordest di Berlino che ai tempi della Ddr era diventato il buon retiro dei bonzi di regime. E no, non gli piace che l’ultradestra Afd tenti di mettere il cappello sulle manifestazioni. Ma da qualche anno è un veterano delle proteste: “ne ho organizzate alcune contro le restrizioni durante il Covid. Allora la polizia era molto più aggressiva”.

Percorrendo la fila infinita di trattori parcheggiati lungo la “strasse”(strada) che attraversa Berlino da est a ovest non è raro vedere passanti che salutano, che annuiscono sorridenti, qualcuno si fa persino una foto-selfie con i contadini .

La Germania sembra pazientemente in ascolto di questa protesta che da settimane sta paralizzando il centro di molte città importanti, che sta bloccando le autostrade. Il consenso sembra essere ampio, nonostante gli enormi disagi.

Nel Cinquecento fu dai contadini tedeschi che si alzò la più imponente rivolta di popolo contro il Papato e le pesanti decime imposte. La loro rabbia fu ascoltata inizialmente da Martin Lutero, che detestava la corruzione papale di Roma. Ma quando la protesta sfociò nei disordini del 1525, il grande riformatore ordinò ai principi di soffocare la ribellione nel sangue. Perché sulla terra, i contadini dovevano obbedire ai padroni. E’ sempre stato così.

Gli oltre 8.000 scesi in piazza anche oggi chiedono soprattutto che il governo faccia retromarch(!) sui frettolosi tagli decisi a dicembre. Sono pacifici, ma per ora non hanno alcuna intenzione di obbedire a chi chiede la fine delle proteste. L’associazione degli agricoltori guidata da Joachim Rudwiek ha respinto le proposte di compromesso avanzate dalla “coalizione semaforo”, che ha già rinunciato in parte ai tagli degli sconti sul carburante diesel. “Ritirino l’aumento delle tasse, e allora ci ritireremo anche noi”, ripete il leader della rivolta. Che vuole mandare un segnale preciso alla politica: “Quando è troppo, è troppo”.

Ruwiek ha preso ripetutamente le distanze dalle frange più estremiste del movimento, dopo che a Dresda e in altre città sassoni, insieme ai contadini sono scesi in piazza estremisti di destra dei Freien Sachsen ed esponenti dell’Afd. La piazza, però, non sembra controllarla del tutto. Dalla platea enorme del comizio davanti alla Porta di Brandeburgo partono ogni tanto delle sirene antiaeree, come quelle che angosciano gli ucraini ogni giorno. Una trovata di pessimo gusto. E quando sul palco sale il ministro delle Finanze Christian Lindner, le urla, i fischi, gli scampanellii fanno perdere le sue parole al vento.

Il ministro cerca di mostrare comprensione per le rivendicazioni avanzate dagli agricoltori: “Non dovete fare maggiori sacrifici, solo contribuire il giusto”. Le proteste, secondo il ministro liberale, “hanno già avuto successo”, visto che l’esecutivo semaforo ha deciso di ripristinare alcuni aiuti, ad esempio sul diesel. Lindner promette che quelle sovvenzioni “non saranno eliminate, ma ridotte gradualmente”. E forse arriveranno degli sgravi fiscali altrove. Ma agli agricoltori non basta: ripartono i fischi assordantie rombi di trattori.

Tornando tra i trattori parcheggiati lungo l’arteria che taglia il Tiergarten, i cartelli più frequenti sono quelli che chiedono, tout court(tutto insieme), che l’esecutivo “semaforo” vada a casa, che hanno paura di fallire, che bollano la maggioranza come “incompetente”. Al posto della pettorina verde scuro delle associazioni degli agricoltori, tanti manifestanti hanno scelto quelle fosforescenti – forse per somigliare di più ai francesi gillet jaunes. Qualcuno alza un cartello: “Se i contadini falliscono, mangerete roba importata”. Qualcun altro scrive, più timidamente: “Sorry, ma anche io preferirei stare a casa”. Genug ist genug, come a dire basta è basta.

Alla rotonda sotto l’”angelo” reso famoso dal “Cielo sopra Berlino” dell’iconico film in bianco e nero di Wim Wenders un gruppetto di “gilet verdi” tedeschi sta organizzando l’azione.

“Il governo deve ritirare tutto il pacchetto: abbiamo già fatto i nostri preventivi calcolando le sovvenzioni, così ci fanno fallire”spiega Sven, arrivato dall’estremo nord, da Wismar, città portuale affacciata sul freddo e rigoroso Mar Baltico. “Non ce ne andremo, siamo stanchi di queste vessazioni”. Sven lavora in un’azienda grossa, da cinquemila ettari, ma smentisce che i tagli alle sovvenzioni decise dal governo massacrino soprattutto i piccoli agricoltori. “Danneggiano molto anche l’impresa per cui lavoro. E poi c’è il problema degli ottanta ettari che non possiamo coltivare, per i quali incassiamo ricchi aiuti. Ma che senso ha? Con la fame nel mondo, con i granai ucraini assediati dai russi e il Mar Nero in guerra?”.

Sven è arrabbiato “alla tedesca”(con paroline simpatiche a profusione) ma neanche a lui piace che qualche estremista voglia mettere il cappello sulle proteste. Anzi, l’agricoltore non vuole neanche che il governo semaforo torni a casa: “Non sappiamo cosa può venire dopo, e al momento meglio non rischiare”. Una donna gli passa accanto, il suo cartello sembra contraddirlo: “Chi protegge la natura dai verdi?”, recita.

Su tg3 linea notte è stato affermato da uno degli ospiti di Monica Giandotti che paradossalmente, la Germania passa un periodo nero, non ha avuto la stessa resilienza italiana, con una economia flessibile e meno rigida di quella di Berlino.

Sono dell’avviso che molte restrizioni contradittorie delle linee di politiche europee faranno dell’Europa stessa la propria rovina. Prossimamente nessuno stato, se il trend seguirà il sentiero preso male, potrà presiedere nell’olimpo di produttività e benessere conseguente dalle produzioni. Transizione green non vuol dire aggravare costi e generare disoccupazione, altrimenti è un transizione black, e come dice il detto, youìll never go back( non tornerai indietro).

Vedremo nei prossimi mesi come evolverà la situazione tedesca sotto le luci della coalizione “semaforo”.

L’Italia davanti alla Germania. Stiamo messi proprio bene, notevole.

(Fonte:LaRepubblica)

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