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100 anni fa moriva il geniale creatore della torre più famosa di Parigi( e di Francia)

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Quando si sparse la voce che Eiffel aveva proposto una gigantesca torre interamente in ferro alta 300 metri da collocare nell’Esposizione di Parigi del 1889 per festeggiare il centenario della Rivoluzione, i parigini pensarono che il progetto non sarebbe mai stato realizzato. Una torre di ferro di quell’altezza era considerata una follia, anche perché alcuni anni prima era crollato in Scozia il Tay Bridge(ponte) causando una sessantina di vittime e si erano verificati altri crolli di strutture metalliche, ma Eiffel era cosciente del suo progetto.

Nato a Digione(patria dell’omonima salsa) il 15 dicembre 1832, dopo un periodo che lo aveva visto amministratore della fabbrica di aceto e vernici di famiglia, trovò un lavoro nel settore dell’ingegneria ferroviaria dove poté mettere in pratica le sue straordinarie capacità, a tal punto che i suoi datori di lavoro a soli ventisei anni gli affidarono la costruzione del ponte Saint-Jean sulla Garonna a Bordeaux, primo ponte ferroviario interamente in ferro. In seguito Eiffel si mise in proprio e diventò un vero specialista in ponti e viadotti ferroviari. Ne costruì ben 42 solamente in Francia e nel 1876 il suo viadotto di Oporto sul fiume Douro in Portogallo fu salutato come un vero capolavoro dell’ingegneria.

Non meraviglia affatto che Eiffel accettò l’invito dell’Esposizione a presentare un progetto per Parigi, anche se la sua idea non fu propriamente esente da polemiche sulla sua realizzazione. Ad appena tre settimane dall’inizio dei lavori una cinquantina di artisti e di intellettuali inviarono una focosa lettera di protesta al principale organizzatore dell’Esposizione per evidenziare la “volgarità senz’anima” di quella torre definita “ridicola e vertiginosa” e “disonore di Parigi”. Tra i firmatari vi furono Guy De Maupassant, Dumas figlio(quello della Signora delle camelie) e Gounod( il compositore del Faust). Altri rincararono le critiche considerando la torre come un pericoloso parafulmine e soprattutto una seria minaccia per la zona sulla quale sarebbe stata edificata, paventando un crollo immane.

La torre, invece, sarebbe diventata in seguito un prezioso strumento per la meteorologia, l’aerodinamica e la telegrafia senza escludere l’ impiego nel campo militare. Eiffel era così convinto dell’importanza della sua torre che assunse Louis-Émile Durandelle, all’epoca il più famoso specialista di fotografia architettonica, perché documentasse giorno dopo giorno i lavori di costruzione che non sempre “filarono” lisci. Alle denunce che a volte interruppero i lavori si aggiunse la profezia di un autorevole professore di matematica secondo la quale, dati alla mano, la torre sarebbe inevitabilmente crollata su se stessa se avesse raggiunto l’altezza di 227 metri. Ma non fu così.

A dispetto di critiche e oppositori Eiffel, dopo cinque anni che videro al lavoro 199 operai, vinse la sua personale battaglia e il 1 aprile del 1889 invitò autorità e giornalisti alla base della torre per il classico festeggiamento a base di champagne. Lo stesso Eiffel fece da Cicerone per la prima scalata alla sua torre ma alla fine soltanto undici “coraggiosi”, che evidentemente non soffrivano di vertigini, raggiunsero l’ultima balconata protetta appena da un sottile corrimano di metallo. Qui Eiffel issò una gigantesca bandiera francese (4,5 metri per 1,5) con le iniziali R.F. (République Française) ricamate in oro e un giornalista intonò La Marsigliese mentre nell’aria risuonarono ventun colpi di cannone. Fantastico. Ci vogliono uomini come Eiffel in questo mondo.

Fra gli ammiratori della torre va ricordato l’inventore moderno per antonomasia, Thomas Edison, che regalò a Eiffel, «coraggioso costruttore di questo esemplare originale e gigantesco d’ingegneria moderna», un suo fonografo. La Tour en fer de trois cent mètre era stata progettata per “vivere” solamente vent’anni ma alla fine nessuno se la sentì di abbatterla anche perché nel 1906 era stata installata sulla sua sommità una stazione radiofonica che consentì i primi collegamenti telefonici trans-oceanici senza dimenticare la sua utilità per le comunicazioni militari durante la Prima guerra mondiale. E oggi, come ha scritto l’autrice Jill Jonnes, la torre è «una testimonianza ineguagliabile del fascino che la scienza e la tecnologia esercitano sugli uomini».(troverete il suo libro su Amazon, magari).

Se il padre Alexandre non avesse cambiato provvidenzialmente il cognome, oggi a Parigi svetterebbe la Tour Bonickhausen, e per i francesi sarebbe un bel problema conciliare la grandeur con una parola cacofonicamente tedesca proveniente dalla Renania. Se il figlio Gustave si fosse intestardito a fare il chimico, la Ville Lumière sarebbe paesaggisticamente tutt’altra cosa e miliardi di cartoline e fotografie non avrebbero riprodotto una torre di ferro che punta al cielo, come una piramide “ristretta”. Per fortuna o per lungimiranza Alexandre Boenickhausen adottò ufficialmente il nomignolo di Eiffel col quale veniva chiamato nell’Armée di Napoleone( dal nome delle montagne Eifel dove era nato).

Oggi, a distanza di oltre un secolo, nonostante la continua manutenzione data la sua composizione ferrea, la Torre per eccellenza svetta ancora a Parigi con i suoi attuali 324 metri. Protagonista di numerosi film, compreso un capitolo di Superman, è il posto ideale per innamorati, con il suo ristorante interno per chi non abbia paura delle altezze considerevoli, per un pranzo romantico. D’altronde cosa sarebbe Parigi senza la torre?

Grazie, monsieur Gustave!

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