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CASO CUCCHI:I GIUDICI “PRESCRIZIONE FALLIMENTO DELLA GIUSTIZIA”

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“Lo Stato ha il diritto di fare un prigioniero, ma non di disinteressarsene. Questo è il terreno in cui una vicenda, banale dal punto di vista giudiziario, volge in tragedia”. E’ quanto hanno scritto i giudici della corte d’appello di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui nel 2019 hanno disposto un’assoluzione e riconosciuto quattro prescrizioni per cinque medici dell’ospedale Sandro Pertini, coinvolti nella vicenda di Stefano Cucchi.

I medici erano tutti accusati di omicidio colposo, e proprio sulla prescrizione si soffermano i giudici: “Una sentenza oramai sostanzialmente pletorica rispetto al caso, i cui termini di redazione delle motivazioni sono anche caduti nel drammatico periodo della vicenda Covid; un fallimento della giustizia, come sempre avviene allorché cada la mannaia della prescrizione ma anche un monito severo ed una occasione di riflessione per chiunque operi a contatto con i detenuti”.

“Che non vanno considerati un semplice numero del procedimento, ma esseri umani, forse anche alle volte sgradevoli, eppure sempre doverosamente meritevoli, proprio in ragione del loro stato detentivo di una attenzione anche superiore a quella dedicata ad un uomo libero nella persona, la cui dignità non perdono mai, pena la regressione a tempi oscuri oramai trascorsi”.

Dunque Cucchi – scrivono i giudici nel documento di 69 pagine – rappresentava indubbiamente un paziente di difficile approccio, probabilmente scarsamente disponibile all’interlocuzione, forse con venature antisociali, certamente oppositivo ed ancorato ad una caparbia ed infantile posizione di rifiuto dei trattamenti, ma è troppo sbrigativo e troppo semplice affermare a questo punto che il paziente rifiutava le cure ed i trattamenti e quindi nulla può contestarsi ai sanitari”.

Al contrario, per l’alta Corte, siamo in presenza di “un festival di insipienze che deve aver prodotto una reazione, definiamola puerilmente sdegnata, da parte di un soggetto verosimilmente già portatore di proprie fragilità. Di qui il passo è breve: lasciarsi andare, optare per il tanto peggio tanto meglio per far nascere nelle persone che si reputano intimamente responsabili del suo stato il senso di colpa”.

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