Per evitare i dazi “tutti mi baciano il cu*o”.
Lo ha detto Donald Trump, che si auto-esalta per aver rischiato di far collassare l’economia mondiale con una mossa che, tra l’altro, sta facendo del male proprio al suo Paese. Ma non è solo una questione di volgarità politica, quello di Trump è un modo di comunicare che ha a che fare con il suo spirito suprematista e superbo.
“Tutti i politici vogliono in primo luogo essere capiti: la forma del loro discorso è uno strumento di persuasione importante almeno quanto il contenuto”. E poi: “Il quarantacinquesimo presidente americano è piombato nel placido scenario del discorso politico come il classico elefante in un negozio di porcellane. Ai primi interventi di Donald Trump, i traduttori si sono subito strappati i capelli: nella singola frase come nel discorso, gli elementi che compongono il suo linguaggio apparivano spesso incompleti e a volte privi di senso”. Lo dice Bérengère Viennot, traduttrice professionista e autrice di La lingua di Trump (Einaudi, 2019), un libro che andrebbe letto un’altra volta, andrebbe aggiornato, perché utilissimo per capire alcuni meccanismi fondamentali della comunicazione di Donald Trump: immobiliarista, simbolo dell’opulenza e di quella forma di ricchezza che non deve rendere conto a nessuno, neanche alla decenza. Se il discorso politico ha una sua forma, come sostiene Viennot, la forma del linguaggio di Trump è sfilacciata, semitrasparente, volgare.
“È brutto a dirsi, ma l’America è governata da un uomo che, secondo i nostri parametri europei, è quello che i meno educati chiamerebbero semplicemente un fascista” continua Viennot; ma com’è possibile che una democrazia storica come quella americana sia finita in mano a un personaggio del genere? Attraverso una spontaneità comunicativa piena di violenza, aggressività, menefreghismo. La sensazione, cioè, che si possano superare i limiti fregandosene altamente. Freudianamente, Trump è un io che non è maturato, una mela che ha la consistenza di una noce, piccola biancastra, insapore. Ma se la lanci contro le pareti della democrazia, che ha i suoi limiti, diventa un proiettile in mano alla furia delle masse. Tra i vari elementi, tra cui l’umorismo (Viennot dedica un capitolo proprio a questo aspetto, concludendo che si tratta di “umorismo aggressivo”, un umorismo poco sottile e quasi letterale, che serve o a distruggere l’avversario o a pavoneggiarsi; l’umorismo è l’arma usata da Trump per negare, per esempio, i cambiamenti climatici); dicevamo, tra i vari elementi, quello della volgarità è fondante della retorica di Trump. Quando Trump risponde che, per farsi sospendere i dazi, tutti lo chiamano “per baciarmi il cu-o”, non sta semplicemente usando uno slang dialettale, un linguaggio colloquiale tipico degli americani, ma sta prendendo a sberle, questa l’espressione di Viennot, il resto del mondo, convinto di essere – come in effetti è – in una posizione di predominio assoluto: “Il vocabolario che Trump sceglie di impiegare è di rara brutalità” e il motivo è semplice: “Chi molla una sberla è il più forte, e sa di non rischiare niente in cambio.” E Trump è convinto, in effetti, che nessuno possa dargli una sberla.
La caduta di stile di Trump era prevista, soprattutto dopo l’attentato durante la campagna elettorale. Scansare di pochi millimetri un proiettile mortale alla testa, gli ha dato alla testa(perdonatemi il gioco di parole). Ormai si crede un miracolato, un “unto del Signore”, e pensa di poter fare tutto. Ma dimentica che lui, come tutti noi, è solo un essere umano, soggetto alle stesse leggi della Natura, e non solo. Prima o poi il fare così arrogante e prepotente gli si ritorcerà contro, perché forse non lo sa , ma ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Lo insegna la Fisica, che è Universale.
(per il testo di Viennot, Fonte: Mowmag.com)